IL VERO INDIANA JONES: PERCY H. FAWCETT E LA CITTA’ PERDUTA DI “Z” – parte I

P Fawcett with pipe

Percival Harrison Fawcett

La vita, le ombre e la leggenda di uno degli esploratori più famosi di ogni tempo, in cui coraggio, ossessioni, e la ricerca di una mitica città perduta nel bacino amazzonico si fusero nell’uomo che diede origine al mito di Indiana Jones.

È esistita davvero una antica civiltà avanzata stanziata nel bacino amazzonico?

Le ultime scoperte confermano la visione di Percy H. Fawcett

Le sette città d’oro di Cibola, Paititi, Eldorado: luoghi mitici la cui leggendaria ricchezza eccitò l’avidità di molti, avventurieri, mercenari, nobili, che dal XVI sec. partirono dalla vecchia Europa diretti verso il Nuovo Mondo e consumarono le loro vite alla ricerca dell’oro. Molti morirono, pochi fecero ritorno.

Questa passione per la conquista si evolse nel tempo fino a comprendere archeologia, ricerca geografica, esplorazioni in ambienti anecumenici, e si incarnò perfettamente nell’ultimo grande esploratore del XX sec. Percy Harrison Fawcett, il prototipo dell’archeologo avventuriero senza paura a cui si ispirò Steven Spielberg per il personaggio di Indiana Jones.

harrison-ford-as-indiana-jones-in-raiders-of-the-lost-ark_jpg_1003x0_crop_q85Mi sono imbattuto in questo straordinario personaggio durante la stesura del secondo romanzo del ciclo THE RUNE TRILOGY, Il Terzo Protocollo, e devo dire che mi ha conquistato perché possedeva tutti gli elementi che desideravo inserire nella storia, con in più un vero mistero, poiché la mitica citta di Z cercata instancabilmente da Fawcett molto probabilmente esiste. Questa affermazione così perentoria si basa non solo su un documento portoghese del XVIII sec. che ne descrive l’area e la struttura, ma anche sulle recentissime scoperte archeologiche nel bacino amazzonico di insediamenti protostorici e siti megalitici effettuate con indagini sul campo, rilevamenti satellitari e droni che dimostrano l’esistenza di centinaia di nuclei abitativi altamente organizzati e centri di culto ancora inesplorati. Tutto questo è solo la punta dell’iceberg di un’enorme area situata in Amazzonia di cui fino a pochi anni fa nessuno sapeva nulla: solo Percy Fawcett ne era a conoscenza ed era così convinto da rischiare – e perdere – famiglia carriera e vita per dimostrarne l’esistenza

LA VITA E LA LEGGENDA

Percy H. Fawcett a 18 anni quando entrò nell'esercito inglese.

Percy H. Fawcett a 18 anni quando entrò nell’esercito inglese.

Nato il 18 agosto 1867 a Torquay, nel Devonshire, sulla costa meridionale inglese, Percy H. Fawcett entrò giovanissimo nell’esercito e nel 1886 servì a Ceylon con la Royal Artillery, dove incontrò la futura moglie Nina Agnes Paterson, che sposò nel 1901. La coppia ebbe due figli, Jack (1903- ? probabilmente morto nel 1925 con il padre nel Mato Grosso) e Brian (1906-1984).

Perfettamente inserito nella mentalità imperialista vittoriana, si dimostrò un militare modello che scalò le gerarchie grazie alle sua qualità. Combatté nel primo conflitto mondiale come comandante di un reparto di artiglieria e giunse al grado di colonnello; lavorò in seguito anche per i Servizi Segreti inglesi in Africa impegnato in incarichi esplorativi.

Fawcett si era dimostrato un valente agrimensore e geografo; possedeva una innata capacità tecnica nel costruire cartine precise con rilevamenti delle coordinate, che sapeva prendere in qualunque area e in ogni situazione meteorologica, gli bastava un teodolite e un cronometro. Con l’esperienza queste capacità si affinarono e fu per questo che nel 1901 la Royal Geographical Society (RGS) di Londra lo assunse: fu inviato in varie aree inesplorate per mapparle e in particolare per anni fu impiegato nel continente sud americano in Bolivia, Perù e Amazzonia.

Le esplorazioni di Fawcett produssero un forte effetto nella società inglese; i suoi resoconti di ambiente esotico, in territori mai visti in cui descriveva popolazioni sconosciute e i loro variopinti cerimoniali infiammarono l’interesse del grande pubblico. Appartenendo alla RGS Fawcett ebbe modo di spiegare spesso in conferenze particolari curiosi delle sue esplorazioni come l’incontro con rettili e aracnidi misteriosi: un’anaconda di oltre 18 metri, uno strano animale che chiamo cane-gatto a due nasi (Fawcett’s Cat-Dog), un enorme ragno gigante Apazauca, ecc. Inizialmente deriso dagli scienziati che non ne avevano mai visti, questi animali furono poi avvistati in spedizioni geografiche successive e identificati: il cane-gatto di Fawcett fu chiamato Mitla boliviano.

the explorer P. Fawcett

Il Colonnello durante una delle missioni di esplorazione in Amazzonia

Tra il 1906 e il 1924 il Colonnello (come desiderava essere chiamato) realizzò sette spedizioni in Sud America acquisendo invidiabile esperienza in aree inesplorate: nel tempo raccolse numerose tradizioni orali dagli Indios che parlavano di una leggendaria città perduta in Amazzonia, in cui viveva una civiltà antica e avanzata: questa ricerca divenne per lui una vera ossessione e orientò tutte le successive ricerche. Tentò di realizzare due spedizioni nei primi anni ’20 ma dovette rinunciare per le durissime condizioni climatiche, le malattie, la scarsità di cibo che portarono la spedizione all’esaurimento.

Ma la sua determinazione era assoluta, anche perché come vedremo, affondava le sue radici in una vera e propria religione: in tre anni, grazie alla più grande campagna di fund raising mai effettuata con l’aiuto dei più potenti media americani ed europei, riuscì ad organizzare una terza missione.

Nel gennaio del 1925 con 57 anni sulle spalle ma con l’entusiasmo a mille, partì dal New Jersey alla ricerca di Z, la città perduta insieme al figlio ventunenne Jack e al migliore amico di lui, Raleigh Rimmel: Fawcett limitò a tre il numero dei partecipanti per poter viaggiare velocemente e scelse il figlio per l’ottima salute di cui godeva. Sia Jack che Raleigh furono scelti anche per le doti di tenacia, resistenza e lealtà.  Raggiunsero in nave Rio de Janeiro dove si organizzarono per il trekking nella foresta: assunsero due guide locali e acquistarono le attrezzature e gli animali necessari alla spedizione.

Infine, il 20 aprile cominciarono la loro avventura nella giungla: attraversarono aree mai esplorate, incontrarono tribù ostili, attraversarono fiumi infestati da piranha, ma la prova peggiore risultarono essere gli insetti succhia sangue, zecche, moscerini e zanzare particolarmente aggressive che rendevano quasi impossibile il sonno e problematico l’avanzamento nella foresta. Il programma imposto dal Colonnello di 10/15 miglia al giorno divenne impossibile da mantenere per i giovani, specialmente quando Rimmel si ammalò a causa di una puntura di zecca che gli fece gonfiare un piede rallentandone la marcia; la determinazione di Fawcett tuttavia era assoluta e proseguì davanti ai compagni a velocità maggiore, a tal punto che una notte dovette accamparsi da solo a miglia di distanza dal gruppo.

UN UOMO D’ACCIAIO

L’ultimo dei grandi esploratori vittoriani era un uomo dal carattere d’acciaio, e solo così si poteva essere per fare un lavoro come il suo: era totalmente votato alla missione. In ambienti così pericolosi come il Sud America, l’attitudine mentale positiva e una ferrea determinazione faceva la differenza tra la vita e la morte; la sua sicurezza incrollabile, il suo coraggio e la volontà di perseguire il suo obbiettivo ad ogni costo supportava la sua leggendaria salute di ferro. Non si stancava mai, era vegetariano e raramente si ammalava; dove i portatori crollavano per la malaria, lui fischiettava allegro mentre si faceva strada nella giungla. Quando tutti erano stanchi, lui proseguiva sempre teso al raggiungimento dell’obbiettivo, era un vero capo ma non era inflessibile, sapeva come farsi ubbidire e come conquistarsi con l’esempio il rispetto degli altri membri della spedizione.

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Mato Grosso: Fawcett e i suoi collaboratori

Era in grado di sopravvivere in ambienti estremi meglio di chiunque altro perché aveva imparato una nozione fondamentale: la foresta amazzonica uccide e solo con le tecniche tradizionali apprese dagli indigeni era possibile superare ostacoli apparentemente insormontabili. Uno dei problemi principali nel Mato Grosso, per esempio, è la fame: in un’area dove la natura prorompe esuberante e il mondo vegetale si appropria di ogni centimetro di terra disponibile, trovare cibo è paradossalmente quasi un miraggio.

Pescare è quasi impossibile: Fawcett si lamentava che si trovassero solo piranha immangiabili, e poco altro, come se le piante acquatiche avessero in qualche modo inquinato i fiumi. E dove vi erano pesci dovette appropriarsi delle tecniche tradizionali indie di pesca con l’arco. Il cibo non si trova in cespugli e rovi, non ci sono frutti da raccogliere ad altezza d’uomo: nella foresta del Mato Grosso il cibo si trova solo  in alto, sugli alberi, una cosa che la fauna locale sa molto bene. Si trovano bruchi e insetti ma non sono facili da prendere e bisogna conoscere quali siano commestibili e quali no.INDIOS-BRASILE1-720x480

Fawcett imparò le tecniche per raggiungere le vette delle piante più alte come facevano gli Indios. L’armadillo e altri animali sono sfuggenti e non si fanno trovare facilmente per cui cacciare è estremamente poco remunerativo, si rischia di cercare selvaggina per giornate intere senza catturare nulla. Allo stesso tempo bisogna prestare attenzione a malaria, febbri tropicali, insetti e ragni enormi dalla puntura mortale, anaconde e serpenti velenosi, la lista è lunghissima.

indio.15Apprese dagli indigeni amazzonici le loro tecniche di sopravvivenza e di caccia, come le lunghe cerbottane con dardi avvelenati, imparò a conoscere le erbe medicinali e grazie a queste informazioni vitali poté sopravvivere dove altri morivano. L’esperienza gli aveva insegnato a utilizzare zaini più leggeri di quelli utilizzati all’epoca e ad applicare la regola del buon senso e dell’esperienza acquisita in zone mai esplorate, dove le vecchie norme applicate rigidamente potevano non funzionare e servivano conoscenze particolari applicate in modi diversi.

Anche se non del tutto immune al senso di superiorità britannico vittoriano, Fawcett era un innovatore anche nella diplomazia: a differenza di molti altri esploratori che sfoggiavano una decisa aggressività, non affrontava gli indigeni armi in mano ma aveva sviluppato una sua personale tecnica di approccio. Di fronte a tribù ostili invitava i suoi a deporre le armi e con le mani alzate e un sorriso smagliante si avvicinava agli Indios e offriva loro doni di vario genere, una tecnica che funzionava sempre.

LA SCOMPARSA

Percy Fawcett with Raleigh Rimell and one of their guides shortly before the expedition vanished.La spedizione raggiunse  il punto denominato Accampamento del Cavallo Morto, così chiamato perché in una delle missioni precedenti il Colonnello dovette sparare al suo cavallo infortunato in modo grave; qui congedarono le guide e proseguirono da soli. Fu da questo accampamento che il 29 maggio Fawcett mandò l’ultima lettera all’amata moglie Nina, per rassicurarla sull’andamento della spedizione: «Jack sta bene e diventa più forte ogni giorno che passa. Non devi temere alcun fallimento». Ma da questo momento in avanti nessuno, né i familiari né i giornali americani ed europei, ricevettero alcun messaggio dai tre membri della spedizione.

Nina Fawcett

Nina Fawcett

Per due anni circolarono voci di ogni genere, apparvero articoli sui media dell’epoca che ipotizzavano un Fawcett rimasto a vivere nella jungla come un nativo, o catturato dagli Indios, o diventato capo di una tribù ostile che lo aveva convertito al cannibalismo. Naturalmente ogni speculazione del genere serviva solo ad alimentare la voracità di notizie del pubblico e aumentare le vendite dei quotidiani.

Si persero mesi preziosi nell’attendere ulteriori comunicazioni d aparte della spedizione che non giunsero mai e fu solo dal 1928 che George Miller Dyott della Royal Geographical Society riuscì ad organizzare la prima spedizione di salvataggio. Nonostante gli strenui sforzi e le grandi sofferenze che i soccorritori dovettero affrontare non si trovò nulla; è commovente il messaggio che Dyott inviò a Nina Fawcett per rincuorarla: «Non avendo trovato i corpi, non c’è alcuna prova che i tre siano morti.» Stimolati dalla tenacia del Colonnello nessuno voleva perdere le speranze di rivedere i tre membri della spedizione vivi.

Nina Fawcett  intervistata dai reporter disse che avrebbe continuato a sperare nel ritorno del figlio e del marito fino alla morte. Si trattava del primo reality drama mediatico, un evento che tenne per anni col fiato sospeso i lettori da un capo all’altro dell’Atlantico e fino all’Australia. Almeno cento persone persero la vita nella giungla alla ricerca di Fawcett e dei due giovani in spedizioni di soccorso successive.

Infine si riuscì ad appurare che gli indios Kalapalo avevano ospitato i tre uomini nel loro villaggio e li avevano poi visti partire vedendone poi il fumo dell’accampamento di Fawcett da lontano.

Inaspettatamente il motivo dei ritardi nei soccorsi e buona parte della responsabilità del fallimento di queste missioni risiede nei rapporti che Fawcett inviava ai giornali: in essi e nelle sue lettere diffondeva volontariamente falsi indizi e notizie errate con lo scopo di depistare eventuali avventurieri che avrebbero potuto seguire le sue tracce e trovare Z prima di lui.

Nel 1951 un certo Orlando Villas Boas un esploratore che sosteneva i diritti degli Indios nella riserva Xingu, nel Mato Grosso, diffuse la notizia raccolta presso gli indigeni Kalapalo che egli era stato ucciso da loro. Sembra che il motivo riguardasse un’anatra che Fawcett aveva catturato ma che non aveva condiviso con la tribù, una consuetudine tradizionale. Tuttavia nel 1998 il capo della tribù fu filmato dalla BBC mentre parlava con l’esploratore Benedict Allen e in quell’occasione negò decisamente l’assassinio: fornì una versione completamente differente secondo cui Villas Boas aveva trafugato le ossa di un indio convinto che fossero quelle di Fawcett. A un’indagine medica successiva le ossa risultarono quelle di un indigeno, molto più basso dell’inglese, come sosteneva il capo tribù. Ciò che accadde a Fawcett e agli altri due membri della spedizione rimane ancora un mistero.

David Grann il giornalista del New Yorker che seguì le tracce di Fawcett fino al villaggio degli Indios Kalapalo, l'ultima tappa conosciuta

David Grann, il giornalista del New Yorker che seguì le tracce di Fawcett fino al villaggio degli Indios Kalapalo, l’ultima tappa conosciuta

Nel 2005, il giornalista del New Yorker David Grann seguì il percorso di Fawcett nella speranza di apprendere qualcosa di più sulla fine della spedizione e raccolse una storia tramandata oralmente nel villaggio degli indios Kalapalo, secondo cui decenni prima avevano ospitato tre inglesi e la cosa aveva destato molta curiosità e interesse, essendo i primi bianchi che avessero visto. Essi riferirono che Fawcett non volle ascoltare il capo e gli anziani che lo avvertirono della presenza di tribù fortemente ostili che avrebbero sicuramente incontrato se avessero proseguito. Fawcett decise comunque di andare avanti e i Kalapalo, non vedendo più tornare il gruppo, conclusero che furono uccisi dagli indigeni.

LE CARTE DEL COLONNELLO FAWCETT

È di grande interesse il libro di Grann, The Lost City of Z; l’autore poté incontrare la nipote superstite di Fawcett a Cardiff che mantiene e conserva l’archivio delle carte e delle lettere dell’esploratore britannico. 61+3z0cS-pL._SX323_BO1,204,203,200_Da esse emerge chiaramente la sua preoccupazione di mantenere segreta l’ubicazione dell’area che esplorava, temeva fortemente che dato il clamore che circondava la sua ricerca, qualcuno avesse potuto precederlo. Emergono anche le credenze personali dell’autore che parla diffusamente della città di Z come la patria degli Antichi. Dal 1924 le carte di Fawcett, sono piene di appunti e schizzi che evidenziano la sua ricerca di una delle cosiddette Logge Bianche: secondo il suo credo queste sarebbero città segretamente occultate all’umanità da cui membri dell’élite ariana superiore osserverebbero e dirigerebbero i destini del mondo. Z era una di queste.

Ma come è possibile dedicare una vita intera alla ricerca di una città misteriosa, inseguendo un’idea così singolare?

TEOSOFIA, ARIANESIMO E SS

Percy Fawcett era mosso da una vera ossessione: trovare la mitica città perduta nella foresta del Mato Grosso che sapeva essere parte di una civiltà antichissima, precorritrice della nostra. Anche Heinrich Himmler, riformatore dell’Ordine Nero delle SS mandò dieci anni dopo i suoi ricercatori della sezione SS Ahnenerbe in giro per il mondo a fare la stessa cosa, in Tibet, Antartide, nord Europa, Sud America.

1935 German researchers went on an expedition of the Brazilian jungles

1935: un’immagine della spedizione SS in Amazzonia voluta da Heinrich Himmler

Entrambi cercavano tracce di una civiltà antichissima e avanzata che secondo il loro credo (che aveva in comune gli insegnamenti teosofici[1]) avrebbe dato origine alla nostra. Naturalmente Fawcett non era un nazista e non condivideva la maggior parte dei valori propugnati dal nazismo che negli anni ’20 muoveva i primi passi. Tuttavia era un seguace della Teosofia, la pseudo-religione creata dall’avventuriera russa Helena Petrovna Blavatsky e diffusasi come una moda in tutto il mondo: questa ideologia costituì una delle radici ideologiche del nazionalsocialismo.

Questo differenzia pesantemente Fawcett dall’Indiana Jones di Spielberg, che non ha alcun interesse in ideologie occulte e meno che mai ne condivide alcune con i nazisti.

Helena Petrovna Blavatsky (1831-1891) fondatrice della Teosofia

Helena Petrovna Blavatsky (1831-1891) fondatrice della Teosofia

La Teosofia era frutto delle presunte conversazioni della Blavatsky con un maestro spirituale orientale, Kut Humi, da cui scaturirono vari libri in cui la Blavatsky cercò di delineare la traccia comune a tutte le grandi tradizioni religiose. Fondamentalmente era convinta che in esse fosse racchiusa – e nascosta – una sapienza di base comune che cercò e inserì in una visione cosmogonica e escatologica razziale, in cui grandiosi scontri epocali tra razze avversarie, superiori ed inferiori, avrebbero provocato continui sconvolgimenti sociali. Secondo la teosofa deriveremmo da una antichissima razza di semidei che in seguito alla mescolanza con razze inferiori avrebbe perso le proprie caratteristiche divine, una variazione del racconto biblico dei Nephilim, con varie sfumature differenti.

Il suo lavoro di ricerca delle origini razziali e culturali di questi Superiori Antichi che chiamò Ariani, stimolò un enorme flusso di ricerche storiche ed archeologiche  in tutto il mondo: dalla seconda metà del XIX sec. in avanti, divenne comune per i salotti di tutti i continenti organizzare conferenze teosofiche, che mescolavano spiritualismo, storia, archeologia e scienza in una originale commistione che andava ben oltre i chiari e consolidati confini del metodo scientifico. Queste ricerche infatti assimilavano elementi occulti esattamente come farà il nazismo qualche decennio più tardi piegando la scienza alla visione esoterica del III Reich.[2]

La peculiare visione razziale della storia offerta dalla Teosofia si accordava piuttosto bene con l’ideologia imperialista vittoriana e la filosofia del superuomo nietschiano che imperversava verso la fine del XIX sec. Lo scontro epocale tra razze fu uno dei baluardi dei seguaci del darwinismo sociale, la forzatura filosofica e ideologica che il darwinismo aveva assunto e che diventerà uno dei baluardi del pensiero hitleriano.

Fawcett thinking

Sir Arthur Conan Doyle, creatore di Sherlock Holmes, buon amico di Fawcett, condivideva con lui la credenza nella Teosofia.

La Teosofia fu sostenuta indirettamente anche da queste correnti sociali e grazie ad agganci nelle principali università si poterono organizzare anche spedizioni di ricerca e missioni di scavo archeologico. I successori della Blavatsky fondarono sedi della Società Teosofica praticamente in ogni paese estendendone l’influenza. Fawcett era un appassionato teosofo e un convinto sostenitore dell’origine ariana dell’umanità, e condivise queste e altre idee con il buon amico Arthur Conan Doyle, creatore di Sherlock Holmes, ormai affermato scrittore e anch’egli adepto della Teosofia. Il suo romanzo Un Mondo Perduto scaturì proprio dai racconti delle esplorazioni di Fawcett in Amazzonia.

IL MISTERIOSO MANOSCRITTO 512

Nelle sue ricerche della città perduta in Amazzonia Fawcett si imbatté in un manoscritto del XVIII sec., il resoconto di una spedizione portoghese nel Mato Grosso alla ricerca delle miniere perdute di Muribeca, di cui si favoleggiava già dal XVII sec. È denominato Manoscritto 512 ed è attualmente conservato alla Biblioteca Nazionale di Rio de Janeiro.

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Una pagina del Manoscritto 512, conservato alla Biblioteca Nazionale di Rio de Janeiro

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Schizzi riportati dall’autore del manoscritto 512 di alcune iscrizioni ritrovate nella città perduta.

Il racconto è affascinante perché oltre al viaggio irto di pericoli, nel testo si descrive la scoperta di una vasta città perduta costruita da una civiltà avanzata e molto raffinata i cui abitanti sembravano essere spariti improvvisamente. La città era molto grande, di architettura ricercata, con statue, decori e anche iscrizioni che l’autore del manoscritto riporta con buona precisione. L’area era circondata da un muro perimetrale di protezione; parte della struttura cittadina  giaceva in rovina, con un’area sommersa dal terreno, ma buona parte era esplorabile. I portoghesi si stupirono di trovare una strana statua al centro della piazza più grande, posta su una colonna e che puntava verso il nord. Una statua dalle fattezze nordiche europoidi, ben diverse da quelle indigene.

Fawcett studiò il testo con attenzione e si convinse che questa fosse la misteriosa città di cui parlavano le tradizioni degli Indios sudamericani, la patria degli Ariani, che tradizionalmente abitavano il Nord, o Thule, ma che nelle loro peregrinazioni erano scesi fino al Sud America. L’indicazione della statua indicante il nord era in effetti un indizio molto preciso. La chiamò Z, un nome in codice per mantenere segreta l’ubicazione della città e il nome cosicché nessun altro potesse raggiungerla.

La locandina del film The Lost City of Z

La locandina del film The Lost City of Z

The Lost City of Z, un film in uscita a primavera 2017 a cui doveva inizialmente partecipare Brad Pitt come protagonista, poi sostituito da Benedict Cumberbatch e infine da Charlie Hunnam nel ruolo di Percival Fawcett. Co-protagonisti: Sienna Miller (Nina Fawcett) e Tom Holland     (Jack Fawcett)

 (continua nella Parte II)

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BIBLIOGRAFIA

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Fawcett, Percy and Brian, Lost Trails, Lost Cities, Funk & Wagnalls, 1953

Fawcett, Brian, Ruins in the Sky, Hutchinson of London, 1958

Grann, David, The Lost City of Z, Penguin Random House, 2010

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[1] Per una trattazione approfondita dell’ideologia occulta del nazismo, tra cui la Teosofia, vedi P. Tombetti, L’Enigma Occulto di Hitler: il III Reich e il Nuovo Ordine Mondiale

[2] Ibidem. La cosiddetta Fisica Ariana ne è un esempio, una visione in cui le leggi fisiche erano utilizzate per supportare la visione razziale del Reich. Le ultime scoperte tecnologiche degli scienziati SS, come i razzi V1, V2 fino agli sperimentali discoidali V8, furono ideati sulla base dei Vimana, i veicoli volanti degli dei Indu descritti nei Veda e nei testi sacri indiani che Himmler e i suoi approfondivano appassionatamente. Il legame tra India, Aryan e nazismo è evidente anche nell’uso della svastika e da molte credenze comuni.

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